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24.10.15 Caldwell, Mary Channen. Devotional Refrains in Medieval Latin Song.

24.10.15 Caldwell, Mary Channen. Devotional Refrains in Medieval Latin Song.


La monografia firmata da Mary Channen Caldwell è da contestualizzare nella cornice di un redivivo interesse degli studi musicologici intorno alla canzone latina medievale, un’attenzione ridestatasi principalmente grazie allo studio di Mark Everist del 2018 dedicato alla forma del conductus: Discovering Medieval Song: Latin Poetry and Music in the Conductus (Cambridge University Press). A fronte di un intenso lavoro documentario sulle fonti--laddove più di quattrocento brani vengono menzionati nelle pagine della voluminosa appendice--la bontà del lavoro dell’autrice è da ricercare soprattutto nell’intento e nell’abilità di andare oltre il lavoro documentale e il dato filologico stricto sensu. Attraverso un’analisi scrupolosa dell’elemento costitutivo del ritornello, Caldwell mira a mettere in luce la “fluidità” con cui la “forma” della canzone medievale in lingua latina, in particolar modo quella di argomento devozionale, dovrebbe essere intesa e definita: una fluidità strettamente interdipendente al valore culturale della forma d’arte, alla prassi dell’esecuzione, al contesto sociale e religioso in cui la performance si inseriva, all’aspetto della trasmissione e della materialità che il genere porta in sé e con sé. La scelta dell’autrice di concentrare l’attenzione sul ritornello si rivela feconda in virtù del nesso che il refrain, in quanto figura di repetitio, innesta con il tempo e la memoria, nesso che si riallaccia per ovvi motivi ai domini della retorica, della letteratura e della didattica della musica, su un piano teorico-disciplinare, all’universo delle pratiche folkloriche-rurali, nonché alle scansioni temporali della vita devozionale nelle comunità e scuole religiose, su un piano più propriamente socio-antropologico. Nella relativa scarsezza di studi ancor oggi esistenti intorno alla canzone medievale in latino--al cospetto di una ben più copiosa e fortunata serie di indagini incentrate sulle forme canore nelle diverse lingue volgari--l’opera dell’autrice risulta di assoluto pregio e di certa utilità, considerato, per altro, l’agile ed elegante stile della disamina, accattivante anche nei toni dell’esposizione e fruibile non solamente per lo studioso di musicologia tout court.

Lo spoglio d’archivio dell’autrice tocca, con diversa attenzione, i principali manoscritti a noi giunti: Tours 927, Notre Dame Codex F, Moosburger Graduale, Red Book of Ossory, Codex Engelberg. Sebbene nell’ampia introduzione l’autrice dichiari di voler dedicare ampio spazio a una svariata gamma di brani con ritornello--rithmi, rondelli, versi--attinti da molteplici tradizioni, e di numerose derivazioni geografiche, l’analisi verte, in realtà, principalmente sul conductus di area francese e anglogermanica. Ciò non impedisce tuttavia a Mary Channen Caldwell di perseguire quel suo intento precipuo--debitamente dichiarato--che dovrebbe muovere invero anche gli studi di Musicologia contemporanei tutti: la messa in rilievo della funzione sociale e del valore culturale che la musica, in senso lato, ricopre in una determinata epoca e in un dato contesto.

“Il refrain si impone come nesso per l’espressione poetica e musicale del tempo e della temporalità radicata nella sua armonizzazione con il calendario annuale” (25). Nel primo capitolo, l’autrice studia il refrain nel contesto delle festività religiose e delle ricorrenze pagane che molto spesso si sovrapponevano all’interno del calendario medievale: due facce della stessa medaglia, in fondo, se si tiene conto dell’immagine multidimensionale che i Medieval Studies più attuali ci forniscono dei secoli in questione. Il primo giorno dell’anno, la festa romana del Dio Giano, ad esempio, era ricettacolo di una complessa trama di credenze e di rituali: dal Capodanno all’ottavo giorno del Natale, dalla celebrazione della Circoncisione alla Festa dei folli. Caldwell dimostra come i testi dei brani--e il refrain in particolar modo--si pongano quali strumenti regolativi del controllo esercitato dall’ortodossia religiosa sugli usi cultuali del paganesimo, spesso scurrili, ancora diffusi nel XII e XIII secolo. L’esecuzione, cantata e danzata, dei refrain latini di argomento devozionale, ad opera di chierici o pueri cantores o monache che fosse, cadeva in concomitanza con festività e rituali di marcata valenza sociopolitica per le istituzioni ecclesiastiche. Al ritmo della repetitio, i versetti devozionali diventavano allora “mantra” di una novella edificazione morale.

È ancora il tempo--ma questa volta il tempo della musica e della poesia--a farsi materia di indagine nel secondo capitolo, laddove la canzone strofica ben si presta come forma precipua in cui “linearità e circolarità del tempo poetico-musicale” interagiscono insieme eppure separatamente nel tempo della performance. Le storie “raccontate” nelle strofe delle canzoni in latino--storie della Natività e della Resurrezione o le vite dei santi--interagiscono su di un piano meta-narratologico con il messaggio trasmesso a ritmo cadenzato, nella propria ciclicità ripetitiva, dal refrain. Si tratta di un passo in avanti fondamentale nella prospettiva di studi sull’oggetto in questione: lo stato della ricerca a tutt’oggi tendeva infatti a riconoscere alla canzone strofica in latino con refrain un carattere di “non-narratività”. [1] Caldwell dimostra, al contrario, come la forma strofica intervallata dal refrain abbia un suo plusvalore narrativo. E ciò rappresenta un’innovazione non solo per gli studi musicologici, ma anche per l’ambito della critica e della teoria letteraria, soprattutto se si considera che molte di queste storie, in special modo quelle di genere agiografico--come mette in rilievo l’autrice--potrebbero essere frutto di esercizi retorico-stilistici compiuti, sempre sotto il controllo della Chiesa, da studenti universitari. Il refrain interposto alla narrazione devozionale--aderente eppure estraneo alla narrazione stessa, elemento costitutivo del brano che però tende a farsi autonomo e assoluto--contribuisce, nello specifico, a traslare la temporalità universale della Sacra Scrittura nel hic et nunc dell’esecuzione e dell’ascolto. È questo intreccio di temporalità, questa intersezione di passato, presente e futuro, che come una reiterata epifania si manifesta a ogni nuova esecuzione del ritornello, a garantire la credibilità e la condivisione di un rito liturgico universale e in aeternum.

Strettamente connessa alla funzione di una micro- e macro-(a)temporalità del refrain nello spazio della canzone latina medievale e del suo contesto di esecuzione-fruizione è la questione della memoria. Caldwell segue qui il filo rosso tracciato dagli studi canonici di John Hollander, secondo il quale “i ritornelli sono, e hanno, memorie” (148). L’autrice non relega le tracce di memoria insite nei brani nei limiti della trasmissione, trascrizione o fortuna dei brani stessi intesi in termini prettamente filologici (considerato che spesso, fra l’altro, manca l’Urtext dei refrain). Si tratta piuttosto di memorie intertestuali che saldano i legami sottesi fra i varirefrain, fra un brano con ritornello e le sue fonti, fra le talora numerose varianti manoscritte, nonché fra esecutori e ascoltatori. La facile memorizzazione del refrain nel suo ripetersi, oltre a fare del canto un bene di memoria collettiva in una comunità devozionale assai eterogenea, ne implica una circolazione spesso avulsa dalla canzone originaria. I ritornelli diventavano così versi sciolti dal contesto di partenza e forme musicali quasi assolute (tanto da essere solo abbreviati o nemmeno trascritti in alcuni documenti). Non è perciò un caso che, a mano a mano che la ricerca si sviluppa, Caldwell distingua sempre più puntualmente fra refrain latino e canzone latina con ritornello(Latin refrain / Latin “refrain songs”). Attraverso lo studio di casi dall’apodittica esemplarità, in primis brani tratti dai mss. Graz 258 e Graz 409, l’autrice dimostra come ad agire qui sia un’intertestualità ben diversa da quella più complessa ed eterogenea del refrain francese. Per il refrain latino si può parlare piuttosto di un’intertestualità autoreferenziale, quasi statica: prestiti e rimandi derivano e appartengono alla canzone latina medievale stessa. Il lavoro di Caldwell si profila quindi molto interessante sul piano dell’analisi dei meccanismi attraverso cui l’intertestualità agisce sul ritornello per via della memoria (non ultima quella del copista). Ma ancor più brillante risulta laddove l’analisi germinata dal dato filologico si sposa con la riflessione intorno al dato culturale e sociologico, quello della prassi esecutiva in particolare. L’esecuzione del ritornello--come il capitolo centrale del libro ben riassume--esigeva un canto di carattere responsorio a “quasi una voce” sola, un “tutti” vocale che da un lato sorgeva--per spontanea vis--da una memoria collettiva, dall’altro però veniva regolato, contenuto e controllato dalla musica e dalle parole “devozionali” del ritornello stesso.

L’ultimo capitolo amplia le riflessioni sulla memoria collettiva e l’intertestualità affrontando la questione del rapporto tra latino e volgare ovvero del multilinguismo nell’Europa medievale. In particolare, Caldwell individua nel contrafactum uno strumento di indagine utile a una disamina interculturale che si snodi tra Francia, Irlanda e terre germaniche, con i relativi mss. di San Vittore (F-Pnm lat. 15131), Red Book of Ossory e Codex Engelberg. I tre documenti studiati dall’autrice presentano tutti, nonostante le distanze cronologiche che li separano, testi in latino con rubriche del copista o annotazioni di frammenti di canzoni in volgare. Ma il fatto che vengano esaminate fonti mancanti di notazione musicale (con le rare eccezioni che si contano nel Codex Engelberg), in relazione a una pratica, quella del contrafactum,che per forza di cose si basa sulla melodia, rivela che era principalmente la memoria collettiva ad agire in quelle comunità di cantori, copisti, studenti, uditori, per i quali il latino, pur sotto le norme dell’ortodossia religiosa, conviveva e interagiva con il volgare. Brani presenti nell’Engelberg rivelano, per esempio, la compresenza di sottotesti di derivazione sia liturgica sia profana con i rispettivi idiomi. L’autrice dimostra soprattutto come la contraffazione--a differenza di quanto si afferma nelle pagine introduttive del Red Book of Ossory--non si muova gerarchicamente dalla sfera del secolare alla dimensione della sacralità. Al contrario, sacro e profano, anziché costituire una “rigida dicotomia,” sono da intendersi come membrane porose attraverso cui i paratesti si sovrappongono dando vita a “una continua risonanza di canto vernacolare, a prescindere dal registro, nell’esecuzione della lirica latina” (230). Anche in questo caso lo studio compiuto dall’autrice, inizialmente concentrato sul dato filologico, si apre con successo all’interdisciplinarità degli Studi medievali in senso lato.

Schemi, foto, rubriche e repertori, compresa l’appendice, rendono il dato documentario facilmente reperibile e illustrano con vivida chiarezza le tesi sostenute dall’autrice agevolando la comprensione anche per un lettore non specialista. Il contributo di Mary Channen Caldwell colma, in definitiva, un vuoto negli studi musicologici attuali e apre la strada a nuovi sviluppi e approfondimenti intorno a questa tematica. Ha inoltre il pregio non comune di stimolare alla ricerca interdisciplinare in ulteriori ambiti, dagli studi storici e antropologici alla filologia e critica letteraria, ambiti dai quali potrebbero derivare interessanti e innovativi contributi in un prossimo futuro.

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Note:

1. J. E. Stevens, Word and Music in the Middle Ages (Cambridge University Press, 1986).