Fin dal Medioevo--ma forse già in epoche anteriori--l'estrazione del sale costituì la primaria risorsa naturale di un territorio pur ricco di giacimenti minerari quale l'area compresa tra Volterra e l'alta Val di Cecina. La rilevanza non solo economica, ma anche politica e sociale di questa attività non aveva finora ricevuto un'adeguata attenzione da parte degli storici della città toscana. Con l'eccezione di un vecchio articolo di Tito Cangini ("Dogana e Camerarii del sale a Volterra nei secoli XIII e XIV", Rassegna volterrana, I, n. 1, 1924, pp. 3-15), gli studi si sono concentrati sul ruolo fatale svolto nella storia della città da altre risorse del sottosuolo, in particolare l'allume, il cui ritrovamento nel 1471 portò al memorabile saccheggio della città e al suo definitivo assoggettamento allo Stato fiorentino. A quegli avvenimenti e allo sfruttamento dei prodotti dei lagoni boraciferi -- cioè, oltre all'allume, il vetriolo, lo zolfo e altri -- dedicò due monografie il massimo storiografo moderno di Volterra, Enrico Fiumi, il quale, tuttavia, non si interessò con altrettanta passione dei pozzi salsi, malgrado la loro importanza indubbiamente maggiore per l'economia volterrana.
Giunge perciò quanto mai opportuna questa monografia di Fabrizio Borelli sulle saline nel periodo granducale: un'opera che copre una cronologia e una varietà di tematiche ampie, a dispetto di quanto lo stesso autore con eccessiva modestia afferma all'inizio della sua Premessa. Non direi infatti che i suoi obiettivi siano soltanto quelli di uno "studio della tecnica e dell'architettura legata alla manifattura del sale nella Toscana lorenese (1736- 1859)" (p. XI), giacche' il tema è trattato estesamente anche in riferimento ad epoche anteriori, in particolare il XVII secolo, e con un interesse marcato per gli aspetti istituzionali, economici e sociali. Con questo non si vuol certo negare la forte inclinazione da parte del Borelli a far leva proprio sugli elementi tecnico-architettonici per corroborare la consolidata immagine dell'età lorenese, e in particolare leopoldina, come momento di positiva trasformazione delle strutture economiche della Toscana. Ma questa operazione risulta tanto più convincente in quanto il lettore vi giunge preventivamente istruito sul quadro e le relative contraddizioni dell'età precedente.
Un esempio ci è offerto dal tema della fiscalità, discusso nel terzo capitolo (vero inizio del libro dopo due brevi capitoli di carattere introduttivo). È noto come le riforme fiscali furono uno degli aspetti più qualificanti del generale rinnovamento istituzionale introdotto in Toscana da Pietro Leopoldo. In tale contesto l'abbattimento dell'antico sistema di tassazione sul sale costituì uno dei principali elementi di rottura con il pesante retaggio medievale che era sopravvissuto a due secoli di principato mediceo. Veniva meno, infatti, quel meccanismo di distribuzione forzata alla popolazione di quote di sale, denominato gabella del sale, che si era largamente diffuso in ambito comunale come una sorta di imposta anomala, di natura in parte diretta e in parte indiretta. Ciò implicava il monopolio statale sul commercio del sale e l'imposizione di un prezzo di vendita superiore a quello di mercato. Borelli concentra la sua attenzione su una delle principali conseguenze di questo sistema, il vasto contrabbando del sale che si sviluppò all'interno del granducato, favorito anche dalla varietà di tariffe concordate localmente dagli organi centrali di governo. La sua analisi mostra come la risposta a questo fenomeno non si limitò a produrre un più severo controllo del territorio ma incise sulla stessa fabbricazione del sale, come nel caso di una legge emanata nel 1664 che impose nelle zone di confine la colorazione in rosso del prodotto per mezzo di una particolare sostanza importata dal Brasile. Tuttavia, per tutto il Seicento, e anche oltre, la vendita illegale della preziosa sostanza continuò a proliferare in vaste aree della Toscana, assumendo un rilievo economico e sociale non trascurabile.
La volontà di stroncare l'attività di contrabbando non fu estranea agli interventi legislativi del XVIII e XIX secolo, ai quali è dedicato il quarto capitolo del volume. Le saline volterrane furono sottoposte a controlli più capillari sia a livello di produzione che di trasporto. L'analisi del Borelli chiarisce, tuttavia, come dopo l'avvento dei Lorena le maggiori preoccupazioni fossero la produttività e l'efficienza amministrativa del settore. Furono queste istanze ad ispirare il motuproprio leopoldino del 1788, momento culminante della legislazione in materia, con il quale la tassa sul sale venne finalmente abolita, lasciando allo Stato la privativa della fabbricazione e della prima vendita, mentre si provvedeva a fissare un prezzo unico per la vendita del sale all'interno del Granducato. L'autore mette in evidenza come simili sviluppi normativi andassero progressivamente a toccare anche i diritti locali sulle saline, erodendo l'antica consuetudine di sfruttamento di cui godeva la comunità di Volterra. Tali diritti furono tolti ai Volterrani nel 1808 dal governo francese, dando inizio ad una controversia tra comunità e Stato che si concluse nel 1840 con la definitiva cessione al granducato (e successivamente al Regno d'Italia) dei diritti sulle boscaglie e i pozzi salati in cambio di una indennità. Si recideva così un legame fondamentale tra Volterra e il suo territorio, che nemmeno il Sacco del 1472 era riuscito ad allentare.
Una delle parti più interessanti del libro riguarda il sistema di sfruttamento dei filoni di salgemma nella prima metà del XVII secolo. L'autore si avvale di due trattati inediti dell'epoca: Delle saline e del sale della città di Volterra, compilato nel 1636 dal cancelliere di Volterra Rocco Romegialli e il Trattato sulle Moie di Raffaello Maffei, scritto circa quindici anni più tardi. Sulla base soprattutto del primo dei due testi, del quale sarebbe auspicabile un'edizione, è stato possibile ricostruire l'attività delle moie, gli impianti costruiti sopra le vene salse per effettuare la captazione delle acque e la cristallizzazione del sale. All'epoca del Romegialli esistevano ancora tredici moie, ma cinque erano già state dismesse. Alcune di queste risalivano al XIII secolo ed erano appartenute ai potenti vescovi di Volterra, per poi passare al comune o a famiglie patrizie della città. All'inizio dei Seicento, una delle moie più produttive, quella di S. Maria, era di proprietà granducale, mentre le altre erano sotto il controllo della comunità. Alla storia dei singoli impianti Borelli non dedica l'attenzione che molti di noi avrebbero forse desiderato, concentrandosi invece sugli aspetti architettonici, meccanici e produttivi sui quali il Romegialli offre generose testimonianze. Il suo trattato consente al Borelli di illustrare le tecniche preindustriali di lavorazione del sale, dall'estrazione dell'acqua dai pozzi salsi per mezzo di un argano detto "burbera" al processo di cristallizzazione all'interno di caldaie di piombo riscaldate da fornaci. Questo sistema creava condizioni di lavoro molto pesanti: la necessità di mantenere sempre attivo il ciclo di cottura obbligava infatti i lavoratori a turni massacranti, aggravati dalle temperature elevate degli ambienti di lavoro.
Sempre sulla scorta del Romegialli, l'autore descrive anche il funzionamento della Dogana del Sale, l'istituzione di origine medievale che presiedeva alle operazioni di stoccaggio e distribuzione del prodotto. Ne esce un quadro sufficientemente chiaro dell'organizzazione di questo importante ufficio, anche se riteniamo che un'analisi dell'archivio della Dogana stessa, conservato all'Archivio Storico del Comune di Volterra, avrebbe offerto una visione ben più articolata e soprattutto di maggiore respiro cronologico.
Questa ricostruzione dello scenario seicentesco, cui è dedicato il quinto capitolo, consente al Borelli di argomentare in modo convincente le profonde innovazioni introdotte nella seconda metà del Settecento, punto di arrivo concettuale, oltre che capitolo terminale, del volume. La relazione lasciata da Giovanni Targioni Tozzetti di una sua visita alle moie compiuta nel 1742 consente anzi di accertare il sostanziale perdurare delle condizioni descritte dal Romegialli e dal Maffei per oltre un secolo, fino cioè agli inizi del governo lorenese. Per certi aspetti la situazione era perfino peggiorata, se è vero che i centri di salinazione si erano ridotti a due, le moie di San Giovanni e di San Lorenzo. L'azione innovativa degli Asburgo-Lorena si manifestò già durante la Reggenza nell'ammodernamento tecnico e amministrativo della moia di San Giovanni, divenuta il vero centro di produzione del sale volterrano. Ma l'attenzione del Borelli si concentra sul periodo di Pietro Leopoldo, vero artefice della svolta che innescò il passaggio del settore da uno stadio artigianale ad uno prettamente industriale. La sua visita alle saline nel 1773 acquista così un valore di momento chiave. Negli anni successivi, infatti, si moltiplicarono le iniziative e i progetti per sviluppare la produttività, ridurre i costi e migliorare le condizioni di lavoro. Questo attivismo, spesso improntato ad un fiducioso sperimentalismo ma anche ad una crescente attenzione per le esperienze maturate presso altri giacimenti, ebbe come principale risultato la creazione di una nuova salina, orgogliosamente intitolata a San Pietro e a San Leopoldo, che fu inaugurata nel 1790.
Da allora le saline di Volterra fecero registrare un aumento di produzione senza precedenti. La comunità perse il controllo giuridico sugli impianti, passati allo Stato, ma conseguì un indubbio beneficio economico, che portò con se' un intenso sviluppo demografico, la creazione di nuovi centri abitati, tra cui quello di Saline presso la moia di san Leopoldo, e una profonda trasformazione urbanistica, specie per quanto riguarda la rete stradale e ferroviaria. Si capisce così quanto l'attività delle saline e in particolare il loro salto di qualità tardosettecentesco abbiano inciso sul futuro di tutta l'area volterrana.
Il libro si avvale di un ricco apparato fotografico, tratto da manoscritti, piante e disegni del XVII-XIX secolo, che si rivela di grandissimo aiuto per l'intelligibilità della morfologia e del funzionamento degli impianti di salinazione descritti nel testo. Utile anche l'appendice documentaria, anche se ci saremmo aspettati qualche passo del Romegialli, del Maffei e del Targioni Tozzetti, con i quali il libro è fortemente indebitato. Ci sfuggono del tutto, invece, le ragioni che hanno indotto ad aggiungere in coda alla stessa appendice un breve saggio di Enzo Ferroni "sull'utilizzazione del piombo nelle attività umane e relative conseguenze per la salute". Ma ciò non intacca i meriti del volume e del suo autore.