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01.02.17, Dean, ed., The Towns of Italy in the Late Middle Ages

01.02.17, Dean, ed., The Towns of Italy in the Late Middle Ages


La città ha sempre costituito uno dei temi più affascinanti per lo storico dell'Italia medievale. Questa realtà, che caratterizza tutta la Cristianità dei secoli di mezzo, assume infatti nella Penisola una dimensione e un'importanza tutte particolari.

Il volume curato da Trevor Dean si inserisce all'interno di questo interesse storiografico ed è costituito dalla traduzione di una scelta di documenti attraverso i quali si può cercare di ricostruire vari aspetti della storia urbana dell'Italia medievale.

Siamo completamente d'accordo con l'autore quando sostiene che in una scelta di documenti ogni criterio adottato è arbitrario e personale e che, pertanto, in qualsiasi antologia del genere non è corretto cercare "ciò che non c'è", dovendosi invece privilegiare l'analisi e la valutazione di "ciò che c'è".

Così, è bene dire subito che ciò che c'è è molto, è di ottima qualità ed è stato scelto in base a criteri metodologici assolutamente rigorosi.

Giustamente, Dean mette in guardia dai rischi che si corrono in casi del genere, il primo e più pericoloso dei quali è quello di inventare l'immagine di una città inesistente (potremmo dire: standard) costruita incollando insieme una serie di frammenti provenienti, invece, da contesti profondamente articolati l'uno rispetto all'altro. L'autore, quindi, ben consapevole del rischio, si difende usando testimonianze diversificate e confrontando -- a proposito di uno stesso problema -- più fonti differenziate geograficamente e cronologicamente.

L'autore, inoltre, dimostra di aver ben chiaro un altro -- e non meno importante -- problema che si presenta di fronte a chiunque voglia addentrarsi nelle fonti urbane medievali italiane: quello della profonda differenza quantitativa e qualitativa fra la situazione dell'Italia centro-settentrionale e quella dell'Italia meridionale. Mentre nella prima area la documentazione scritta è, infatti, abbondante e ampiamente equilibrata fra scritture pubbliche e scritture private, nell'area meridionale, al contrario, essa è quantitativamente molto inferiore e pressoché totalmente sbilanciata verso la documentazione pubblica.

Tuttavia, pur di fronte a questo problema, è lodevole l'aver inserito testimonianze che, nei limiti del possibile, coprono anche questa "seconda Italia".

Infine, il curatore dell'antologia evita un ulteriore pericolo nel quale incorre chi guarda il panorama delle città italiane: quello di lasciarsi assorbire dalla realtà delle sole città maggiori (Venezia, Milano, Firenze. . .) dimenticando che l'"Italia delle città" è fatta anche di altre realtà medie e minori. Dean, pertanto, inserisce opportunamente nella sua scelta documenti scritti che riguardano anche questo secondo aspetto della storia urbana medievale italiana.

Le fonti sono tradotte molto bene e i termini inglesi usati rispecchiano perfettamente gli originali latini o volgari. Ottima la scelta di non tradurre termini intraducibili (se non a costo di lunghe note di spiegazione) come "status" o come "populares". Forse poteva valere la pena fare la stessa scelta anche per termini come "dominus" che nella traduzione viene reso con "lord", mentre, invece, è discutibile che questo termine anglosassone rispecchi pienamente il contenuto (molto più generico) dell'equivalente latino. Ma si tratta di una questione assolutamente di sfumatura.

L'autore illustra e introduce ogni documento spiegando di che cosa si tratta, dove è stato scritto e quando, facendo ricorso, per questo scopo, anche a brevi citazioni da autori che hanno pubblicato o usato quella fonte.

La città viene descritta nella sua forma fisica (edifici, torri, strade, chiese, piazze e botteghe) ma anche nelle sue strutture collettive (ospedali, scuole) e nel modo in cui essa è vissuta (organizzazione dell'igiene pubblica, sfruttamento e gestione delle acque). Tuttavia Dean non si ferma qui e, ricordando probabilmente la felice e suggestiva definizione di città (adoperata da una serie talmente vasta di autori da essersi ormai perduta la memoria del copyright di essa): "Città è uno stato d'animo", inserisce documenti che analizzano il simbolismo di strutture come le torri, il significato di certi tipi di decorazioni e di pitture (la "pittura infamante", ad esempio) o il forte contenuto simbolico e di auto-identificazione di macchine come il "carroccio".

L'autore, poi, parte dal concetto di "religione civica" espresso da André Vauchez secondo il quale, con questo termine, si può definire la appropriazione dei valori della vita religiosa da parte di chi detiene il potere, per legittimare e celebrare il potere stesso. In questo contesto sono inserite le testimonianze sulle feste cittadine, sulle celebrazioni dei santi patroni e sui giochi. Vengono inserite in questo capitolo anche le testimonianze sull'organizzazione dell'assistenza (che vede, infatti, frequentemente collegate le energie degli ecclesiastici con quelle del potere laico), ma, personalmente, ho qualche dubbio che si possano catalogare sotto questo concetto temi come l'eresia (anche se è vero che la repressione antiereticale coinvolge le strutture politiche) e come i movimenti spontanei di religiosità collettiva (i Bianchi, i Flagellanti).

L'analisi dell'economia urbana (illustrata con documenti che riguardano le teorie economiche trecentesche e con fonti che permettono di capire gli aspetti della produzione dal punto di vista quantitativo e dell'organizzazione economica) parte dalla corretta lettura del concetto di Philip Jones (ormai passato nella "vulgata" storiografica come "il mito della borghesia") il quale giustamente richiama l'attenzione sul fatto che il fenomeno della borghesia urbana italiana non può essere sopravvalutato poiché le realtà borghesi, per quanto importanti, continuano ad essere circondate dalla permanenza delle strutture aristocratiche o ancora feudali che non sono né quantitativamente né qualitativamente meno determinanti per capire il medioevo italiano.

Molto chiaro il capitolo che conclude il volume: quello sulle strutture politiche e sulla evoluzione dalla città medievale a quella della prima età moderna.

Quello che lascia, invece, perplessi è il capitolo sull'organizzazione sociale e sulle tensioni. Non per quello che riguarda i contenuti (che sono ottimi) ma per l'assemblaggio dei documenti e dei vari temi toccati.

Siamo perfettamente d'accordo sul modo di illustrare il ruolo della nobiltà (sulla base dei tre concetti evidenziati da Franco Cardini: la dignità cavalleresca, il possesso delle torri, il concetto di onore e di vendetta), così come siamo d'accordo con la scelta di Dean di illustrare anche la decadenza del ruolo della cavalleria nel contesto urbano mettendo in luce, però, le significative sopravvivenze di esso in pieno Trecento (un tema sul quale a suo tempo già Gaetano Salvemini aveva scritto pagine ancora oggi valide). Altrettanto concordiamo sui documenti scelti per spiegare la lotta fra "popolari" e "magnati" (per usare ancora una volta la terminologia di Salvemini), fra clan familiari in lotta fra sé (le tensioni nel Regno di Napoli fra il 1338 e il 1339) e per spiegare lo scoppio di vere e proprie rivolte all'interno del mondo del lavoro (Siena, Perugia, Firenze). Ma quello che sembra poco convincente è avere inserito qui il ruolo degli Ebrei e il rapporto fra maschio e femmina nella società dell'epoca.

È vero che mettere queste figure tutte insieme nel contenitore dell'emarginazione è cosa che fanno molti storici, ma non per questo risulta meno discutibile.

Gli Ebrei sono indubbiamente dei discriminati, ma la loro condizione di apartheid è di segno tutto particolare poiché è costantemente in equilibrio fra rifiuto religioso e ideologico (gli Ebrei sono accusati di "deicidio") e accettazione (o addirittura favore) per il ruolo che essi svolgono nell'economia monetaria urbana (prestano ai privati cittadini ma, soprattutto, anticipano le cospicue somme delle quali necessitano volta per volta le casse dell'erario pubblico). L'esclusione ebraica, insomma, non può catalogarsi al pari di quella degli emarginati dei "bassifondi di Parigi" raccontati da Geremek: essa ha bisogno di una analisi particolare e articolata.

Ugualmente non credo che si possa inserire in questo capitolo il tema della indubbia subalternità della donna. Tale subalternità, infatti, non si può spiegare solo con le categorie della sociologia senza ricorrere anche (ma vorrei dire: soprattutto) a quelle dell'antropologia; così come non può essere immobilizzata a un'età senza spiegarla nel suo aspetto strutturale e così come non può essere interpretata trascurando l'elaborazione giuridica che su questo tema si è formata. Ad esempio, sostenere, come si fa a p. 147, che la dote esclude la donna dall'eredità rischia di distorcere l'interpretazione. La dote, giuridicamente, è un "anticipo sull'eredità", tanto è vero che, come è noto, in caso di vedovanza o nel caso che il matrimonio si sciolga per qualsiasi altra ragione la donna ha diritto a riprendersela. Non si tratta, pertanto, di una semplicistica esclusione dall'eredità ma di una articolazione del modo di ripartire l'eredità stessa fra i figli. La subalternità femminile al ruolo del maschio è insomma un fatto indiscutibile, ma per motivazioni diverse da questa e che si capiscono solo parzialmente se vengono solo inserite nel grande contenitore generico dei "conflitti sociali". Sia pure con queste marginali riserve, il lavoro di Dean può tuttavia essere definito un'opera sicuramente di ottimo livello, frutto di riflessione intelligente e di ricerca scrupolosa. È un prezioso strumento per familiarizzare con il medioevo delle città italiane un pubblico non italiano, ma, vorremmo aggiungere, per la scelta delle fonti e per come esse sono illustrate può essere di utilità anche per chi è nato nella Penisola.